Descrizione

Siamo nei primi anni dieci del ‘900, l’ancora studente di teologia Heidegger sta maturando la sua vocazione filosofica. La formazione scolastica ricevuta inizia a rivelarglisi insufficiente se posta di fronte alle necessità spirituali odierne, ed ha pertanto bisogno di essere “fluidificata” se intende avere ancora una funzione vitale. Il problema del significato molteplice dell’essere in Aristotele, e con esso quello della realtà in generale, va mediato con le tendenze attuali della filosofia accademica contemporanea, il neokantismo e la fenomenologia. Le categorie aristoteliche si sono ormai rivelate insufficienti rispetto al compito di fare della filosofia una “scienza rigorosa” all’altezza delle scienze contemporanee, e il monito kantiano di non applicare le categorie se non ai dati della sensibilità deve essere oltrepassato. Il realismo külpiano-brentaniano si incontra dunque, in Heidegger, con la polemica sullo psicologismo, che partendo da una interpretazione in senso psicologico di Kant, cercava una fondazione della logica nei processi empirici del pensiero. Richiamandosi al concetto di validità di Lotze, Heidegger prende dunque posizione, con Lask, Rickert, Natorp, Frege, Whithead e Russell, Meinong e lo stesso Husserl (tutti recensiti nelle Neuere Forschungen über Logik del 1912), a favore del logicismo. L’ambito degli oggetti logici non è, ma vale. Il compito di una differenziazione ontologica degli ambiti dell’essente (logico, psicologico, metafisico) in base al rispettivo modo d’essere è già tutto qui. La Logik der Philosophie di Lask in particolare, con il suo principio della “determinazione materiale della forma”, sarà determinante nell’andare oltre lo schema, nel quale il neokantismo ‘tradizionale’ ancora si attardava, delle categorie come forme pure del pensiero che si applicano alle datità amorfe e atomizzate della sensibilità. Sarà naturale, quindi, per Heidegger, l’incontro con il concetto ‘allargato’ di percezione che le Ricerche Logiche husserliane rendevano possibile grazie alle fondamentali scoperte del carattere intenzionale della coscienza e dell’intuizione categoriale. Ciò che è primo è l’intero, qualunque sua scomposizione analitica (non solo quella della vita dunque), lungi dal conseguire la “datità di principio”, piuttosto la volatilizza. A partire da tali problemi, il presente lavoro cerca di fare luce sulla genesi della specifica concezione heideggeriana della verità, seguendo il filo conduttore della problematica logico-metodologica, lasciando solo metodicamente da parte le istanze lebensphilosophisch che pure costituiscono l’altro corno della questione. Si approda così alle soglie della cosiddetta svolta, individuata precisamente nella perdita – consapevole, e non una semplice svista, come pure si è detto, ma cionondimeno ambigua – della dimensione critica della ‘verità dell’enunciato scientifico’, a favore della più originaria dimensione dell’apertura dell’essere.